Silvia Mezzanotte ha quell’umiltà propria dei grandi artisti: trasuda professionalità e competenza, i suoi racconti sono intrisi di passione per quell’arte che era dentro di lei sin da bambina, nella quale risulta essere una fuoriclasse. Parliamo di una delle voci più belle del panorama musicale italiano, le cui caratteristiche le permettono di spaziare dai successi di grandi donne della canzone al tango di Astor Piazzolla. La ricordo bene a Sanremo con i Matia Bazar: io adolescente ammiravo la sua eleganza, nei gesti e nel look, la sua presenza scenica; l’ho sempre considerata una donna di gran classe.
Sono passati 31 anni dalla sua prima volta a Sanremo, ma è la partecipazione nell’anno 2000 a segnare un nuovo inizio per lei e la seconda vita dei Matia Bazar, prima con “Brivido Caldo”, l’anno seguente con “Questa nostra grande storia d’amore” e la consacrazione, che arriverà con la vittoria del Festival nel 2002 con “Messaggio d’Amore”. Nel 2004 lascia il gruppo per dedicarsi alla carriera solista: da allora sono nati tre album, grandi collaborazioni con Massimo Ranieri, Michael Bolton e Dionne Warwick, un’altra parentesi con i Matia Bazar e un altro Sanremo, il trionfo a Tale e Quale Show e l’apertura della “The Vocal Academy”. Attualmente Silvia è in tour con quattro spettacoli diversi: “La nostra storia” con Carlo Marrale per ripercorrere i grandi successi dei Matia Bazar, “Le mie regine” con brani in sette lingue di cantanti donne che hanno segnato il suo percorso, “Duettango” per omaggiare Astor Piazzolla e il “Summer Tour” che riassume la sua carriera. Grande impegno e grande dedizione per un’artista che di certo non si risparmia.


Da bambina aveva già le idee chiare: voleva fare la cantante, ma era talmente timida che costringeva i suoi genitori ad ascoltarla fuori dalla porta della sua camera. Alla fine, come ha vinto questa timidezza?
“Ci ho messo un sacco di tempo. Avevo la percezione chiara che il canto potesse essere uno strumento fondamentale per me, per farmi stare bene. Era un’urgenza, ma non m’interessava per niente il giudizio della gente quando ero piccola anzi, il giudizio mi spaventava, per cui ho chiuso tutti fuori dalla porta. Lo spettacolo “Le mie Regine” nasce proprio per celebrare quelle donne che quando ero bambina, ragazzina e poi anche adulta, seguivo: leggevo le loro biografie, cercavo di capire anche il loro carattere, non solo la bellezza della loro voce. Ho trovato in loro delle affinità con la mia insicurezza, la mia paura, il mio senso di inadeguatezza. Io non sapevo quale fosse il mio posto nel mondo, quindi il canto era un mezzo attraverso il quale io tiravo fuori tutta quella che poteva essere la mia sensibilità, anzi ipersensibilità. Quando sono diventata più o meno maggiorenne ho capito che era ora di cominciare ad esibirmi, con grande paura, che ho vinto soltanto buttandomi. Quando poi sono arrivata ai 23 anni, addirittura dopo il mio primo Festival di Sanremo, mi sono dedicata alla tecnica, e mi sono accorta che gran parte delle mie insicurezze avrei potuto togliermele prima. Me le sono tolte da grande, e adesso per fortuna sono talmente concentrata anche su questo aspetto della vocalità che ci lavoro in continuazione: ho un’Accademia, quindi gli errori che posso aver fatto io cerco che non li facciano i ragazzi più giovani, che magari vogliono diventare dei professionisti”.
Lei è in tour con quattro spettacoli diversi, in più insegna nella sua Accademia. Cosa trasmette ai ragazzi che seguono le sue lezioni?
“Io ho dei miti che sono le mie grandi donne, le mie regine. Una purtroppo è scomparsa di recente, Raffaella Carrà: una delle cose più importanti che si capiva dal lavoro che faceva Raffaella, ma anche ad esempio Milly Carlucci come altre grandi donne di spettacolo, è la preparazione che c’è dietro, e questo cerco di trasferire. Purtroppo è sempre più di uso comune ipotizzare che basti avere un po’ di voce, un’occasione ed è andata, invece non è così. Trasformare realmente un’occasione in una carriera è molto difficile, perché riuscire a reggere emotivamente e fisicamente i concerti, tutte le problematiche che la mente e il fisico creano sulle corde vocali, sul nostro strumento, che è uno strumento interno che non si può regolare come si accorda un pianoforte e risente di tutto, è piuttosto complicato. Quindi per me prima di tutto viene una certa preparazione attraverso la tecnica, il comprendere realmente chi siamo. I ragazzi più giovani, ai quali sempre più spesso viene richiesto di essere pronti a 18-19 anni, dovrebbero cercare di saper rispondere almeno a tre domande fondamentali: chi sono in questo momento, da dove vengo, quindi quali sono le mie origini, e dove voglio andare. Non è una cosa semplice, spesso occorre essere guidati da persone illuminate, perché io a 18 anni ricordo esattamente che non avevo le idee chiare e forse non le ho chiare nemmeno adesso, quindi quando vedo questi ragazzi buttati allo sbaraglio per loro ho un po’ paura. Questo quindi cerco di trasmettere: preparatevi, cercate di saper rispondere esattamente a queste domande, che significa tirare fuori la propria personalità umana e vocale”.
Uno dei suoi spettacoli si intitola “Le mie Regine”, dove lei reinterpreta brani di cantanti donne che hanno segnato il suo percorso. Se le chiedessi di sceglierne una, la più importante per qualche motivo, chi sceglierebbe?
“E’ molto difficile… forse quella a cui sono maggiormente legata fin da bambina è Mina. Peraltro ho deciso di celebrarla con una delle sue canzoni più iconiche che è “Brava”, ma esclusivamente perché con quel brano ho vinto “Tale e Quale”. E’ stata una specifica richiesta di Carlo Conti, al quale non si può dire di no. Tra l’altro all’inizio la produzione, per metterti a tuo agio, ti chiede quali siano le vocalità alle quali ti senti più vicina, e io ho detto subito: “escludete Mina”. Invece poi è arrivata Mina, ma non solo, è arrivata “Brava” di Mina, con cui ho sudato freddo. Alla fine è andata così bene che ho deciso di portarla con me; siccome è una canzone che non si sente tanto spesso cantare, è diventata certamente una di quelle che mi viene richiesta più spesso. Dico Mina perché è stata una grande icona e lo è ancora, in assoluto però, se c’è una voce alla quale mi ispiro è quella di Ella Fitzgerald per la sua preparazione, la sua tecnica, per la sua capacità di rendere semplici grandissime difficoltà vocali. Ascoltandola sembra stia facendo cose facilissime, invece sono di una difficoltà estrema. Questo è un altro dei miei capisaldi: cercare di far credere che le cose difficili siano semplici”.


Parliamo dei Matia Bazar. Entrare a far parte di un gruppo già famoso non è mai facile, soprattutto per i paragoni con chi c’era prima. Come è riuscita a ricavarsi il suo posto e a fare suoi i grandi successi interpretati in precedenza da Antonella Ruggiero?
“Credo con due cose: l’incoscienza, anche se ero già grande perché avevo più di trent’anni, della serie “mi butto”, e la coscienza di capire che poteva essere realmente l’occasione della mia vita. Inoltre l’incapacità di vivere questo mestiere come una competizione con chi mi ha preceduto e con chi mi segue. Io la competizione ce l’ho esclusivamente con me stessa, e con me stessa sono feroce, mi critico pesantemente. Antonella è una delle mie regine e la celebro con “Vacanze Romane”, l’ho sempre vissuta come una creatura nata per cantare, la cosa più naturale che lei avrebbe mai potuto fare, e l’ho sempre amata visceralmente anche nei percorsi più particolari come quelli che sta seguendo da tanti anni. Questo mi ha permesso di non mettermi in competizione con il passato dei Matia Bazar per fortuna, ma di rispettarlo, di cercare invece di prendere per mano tutti i loro fan e far capire che non c’era nessuna idea di cancellare il passato, tutt’altro, era un modo per rispettarlo. Naturalmente quando sono entrata hanno fatto delle verifiche sulla mia vocalità per cercare di capire se potevo cantare “Vacanze Romane” piuttosto che “Cavallo Bianco” o altri brani: se non avessi avuto queste capacità non sarei stata la persona più adatta. Poi però in quel periodo sono nate “Messaggio d’Amore” e “Brivido Caldo”, canzoni diverse dalla vocalità precedente che erano tutte orientate sul mio timbro. Quindi è stato difficile, ma forse neanche tanto; la difficoltà l’ho più letta nei confronti di tutte le persone che mi dicono “quanto è stato difficile?”. Avevo i fucili puntati contro, ma il mondo Matia per me è sempre stato un tatuaggio sul cuore e lo è ancora, quindi c’è talmente tanto amore, tanto rispetto nei confronti di questa eredità meravigliosa, è la storia della musica leggera italiana che io ci vedo solo cose belle. Ho sentito ogni tanto qualcuno dire che Antonella è meglio di me, ma Antonella è l’icona, lo è anche per me, quindi non vedo perché questa cosa mi debba far male. Lei è stata la prima, ha condotto questa vocalità e queste canzoni in questo mondo meraviglioso, e poi sono arrivata io”.
Tra le tante collaborazioni spiccano quelle internazionali con Michael Bolton e Dionne Warwick: cosa si è portata a casa da queste esperienze?
“Quella con Michael Bolton la ricordo molto bene: è stata una grande emozione per me e lui se n’è accorto: prima di salire sul palco mi ha abbracciata e io gli ho proprio detto “qui realizzo uno dei miei sogni”. La serata che andava in onda su Rai1 dal Canada era “Una voce per Padre Pio” dall’estero: l’intreccio delle due voci cantando “The Prayer” è stato talmente bello e così intenso che tutto il palazzetto si è alzato in piedi. Questo lo ricordo con molta chiarezza. Quella con Dionne Warwick invece è lì nel cassetto: ho conosciuto questa meravigliosa persona che per me è una grandissima icona, è veramente una delle mie regine che si è messa proprio a servizio del progetto, si è aperta nel suo modo di cantare, mi ha dato dei consigli perché le nostre voci potessero fondersi meglio. Il progetto è pronto, ma ovviamente il Covid ci ha fermato perché avrei dovuto festeggiare i miei 30 anni di carriera l’anno scorso a Natale, e lei doveva venire in Italia per far uscire questo singolo e cantare insieme a me in alcuni concerti. Non appena si riapre festeggeremo i 31 anni o i 32, non importa”.

Lei è stata protagonista anche a “All together now”.
“Essere sul muro è stata un’esperienza meravigliosa, perché la sua energia l’ho vissuta come se avessimo tutti una sorta di Avatar che ci teneva collegati, sentivo il muro vibrare. All’inizio nessuno sa di preciso chi c’è nel muro: ci sono persone che si occupano di musica sotto vari aspetti come dj, cantanti giovani, performer, danzatori, produttori. Forse i più giovani non sapevano neanche chi ero, se ne sono resi conto dopo i miei primi interventi, perché vedevano che dicevo delle cose sensate e poi dicevano: “mi alzo, non mi alzo… cosa fa la Mezzanotte?”. E’ stato molto divertente, mi è piaciuto molto e devo dire che in finale sono sempre arrivate delle voci interessanti che molto probabilmente non avrebbero trovato posto nei talent specifici per la discografia e le radio”.
E a proposito dei talent, cosa ne pensa?
“Penso che siano diventati un modo per trovare una strada. Penso che accanto a questi ragazzi così giovani serva qualcuno di illuminato, che gli faccia capire che è un’occasione ma che non è necessariamente quella della vita, quindi se non va bene pazienza. Se poi va bene, devono fargli capire che può durare sei mesi, un anno oppure una vita come è successo per alcuni, ma serve veramente tanta concentrazione su quello che fai, serve fortuna e tanta preparazione. E’ chiaro che anche le case discografiche si sono asservite al mondo dei talent, quindi è un’occasione e vale la pena provarci. Io stessa ho alcuni ragazzi che mi hanno chiesto di partecipare e li ho aiutati a prepararsi, cercando di scegliere con cura le canzoni in modo che avessero la valigia pronta. Poi se il treno passa e sei capace di salire ben venga, quello che posso darti io sono le cose giuste da mettere in valigia”.
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