Matteo Faben: “Con le mie sculture metto in risalto i difetti delle persone”.

“Sono bravo a mettere in risalto i difetti delle persone. Sembro dispettoso, invece è solo una fascinazione per quel lato che tutti nascondono”.

Questo è Matteo Faben, scultore autodidatta, cresciuto a pane e polvere di marmo, con un grande bagaglio di esperienza acquisita in bottega. “Vedevo che sulle riviste d’arte c’erano sempre dei personaggi che, con dei gran sorrisi, presentavano i loro lavori, così sono emigrato a Carrara, convinto che quella fosse la zona adatta. Ho preso contatti con uno Studio tra i più antichi del luogo, e ho iniziato a lavorare su alcune repliche di sculture classiche antiche e lì ho appreso le quattro fasi del lavoro: sbozzatura, formazione, finitura e lucidatura. Ora ci ritorno per comprare il marmo direttamente in cava perché è importante andare a vedere dove nasce la materia, anche per una questione di rispetto”.

Matteo cammina sul filo dell’anticonformismo, artista stravagante, estroso, talvolta scomodo. “Dopo 30 anni di lavoro del marmo sono sicuro di aver acquisito quello stile che a me piace che è il figurativo-realistico, concettuale, orientato alla cultura e all’evoluzione umana, con una vena di sfacciataggine. Questa credo sia la definizione esatta di me stesso”.

Partiamo da una frase. Hai dichiarato: “sono tutti gelosi degli artisti”. Motivo?

“Gli artisti sono considerati come dei personaggi che fanno quello che gli pare, che si svegliano la mattina e realizzano quello che vogliono fregandosene di come gira il mondo, ed è esattamente così per quanto mi riguarda, sono un ottimista. E’ il grado di sicurezza che uno ottiene che permette di catalizzare su di sé l’attenzione, e questa sicurezza può divenire tale da provocare gelosia”.

Quanto è difficile emergere con la scultura?

“Se parliamo in relazione all’oggetto in quanto tale, nel senso che un quadro lo appendi e occupa poco spazio mentre una scultura è più ingombrante, già c’è una difficoltà perché magari le case non sono abbastanza accoglienti. Il problema principale sta nel fatto che recepire una scultura è come invitare a far propria una forma, cioè implica uno sforzo allo spettatore che deve immaginarsela, invece la forma piatta, la pittura ad esempio, è meno impegnativa. Lo scultore fatica di più secondo me dell’architetto che collabora con costruttori e progettisti, la scultura è difficile perché non tutti hanno la voglia e la capacità di comprenderla”.

Perché proprio il marmo e non altri materiali?

“Perché penso che ogni materia abbia la sua collocazione. Ci sono sculture, opere che vanno bene fatte di legno, altre vanno fatte in vetro, o in terracotta. Il marmo per quanto mi riguarda, per il senso che do alle opere, per i titoli e per i messaggi che voglio trasmettere, penso che sia il top. Non userei altri tipi di materiale perché mi sentirei sprecato e poi un domani lascerò delle opere che sono fatte con materiali ricchi, preziosi”.

Quando devi realizzare un progetto, parti da un disegno o l’idea ti viene guardando un blocco di marmo?

“Il disegno è fondamentale: a volte abbozzo una cosa ma ne esce un’altra e sono comunque contento, ma con il disegno ho quella sensazione tridimensionale del risultato finale”.

Nelle tue opere spesso è presente il movimento (drappi, onde). E’ voluto o casuale?

“E’ voluto, volutissimo anzi. Ci sono forme a drappo, morbide, che cadono, che scorrono, che esplodono, in relazione al fatto di tendere, di andare. Voglio fare sempre riferimento alle limitazioni fisiche umane”.

Qual è l’opera che ti ha dato più soddisfazioni e quale la più difficile da realizzare?

“Credo tutte in percentuale. Non ne ho distrutta neanche una, vuol dire che tutte mi sono piaciute abbastanza. C’è il tema che mi fissa di più, ma non c’è la scultura che mi abbia fermato nel senso di essere arrivato al capolavoro, anche perché il mio pensiero è quello di continuare a migliorare. Per quanto riguarda la difficoltà, con la tecnica che ho raggiunto posso realizzare quello che mi pare, non ho problemi. L’unico ostacolo forse è iniziare: può capitare di avere davanti il blocco da cui ricavare una scultura e non so perché non riesco a dare il primo colpo. L’ispirazione c’è però mi assalgono dei dubbi e non ho ancora capito perché”.

C’è un’opera famosa che ha segnato il tuo percorso?

“In realtà sono due. Un quadro di Michelangelo Merisi “La vocazione di San Matteo” e una scultura in marmo bianco del Bernini “L’estasi di Santa Teresa”: il primo perché il personaggio viene colto nel momento di maggior crisi, la seconda perché lei provava talmente tanto dispiacere per non essere all’altezza che si sentiva come trapassata da una freccia. In sostanza sono i miei due sentimenti base da dove ho iniziato a fondare la mia arte, cioè sentirmi soffocare dai miei limiti che non mi permettevano di realizzare qualcosa, ed essere chiamato a farlo nei momenti più bui”.

Sei un artista del tipo “purché se ne parli”?

“No, perché il mio primo pensiero è realizzare ciò che penso, ciò che provo e che voglio, dopo semmai mi preoccupo dove andrà e che effetto farà. Di conseguenza è impossibile che sia perché voglio che se ne parli, ma se poi funziona in questo modo va comunque bene”.

Hai realizzato una scultura di un busto senza testa che hai chiamato “Primo cittadino”.

“Perché immaginavo un supereroe che tiene sulle spalle e sullo stomaco tutti i pensieri e le preoccupazioni, perché penso che risieda in questa parte la responsabilità più che nella testa”.

Una delle tue opere ha una storia particolare: “Adamo”, il primo uomo, nudo come Dio lo ha creato, è stato collocato davanti alla Chiesa Parrocchiale suscitando numerose polemiche. Tu per tutta risposta, prima l’hai vestito con un paio di boxer e poi l’hai rimosso.

“Il fatto dei boxer era una presa in giro, poi l’ho tolto forse perché non era il caso che restasse lì. Troverà una collocazione diversa, anche se però avendo suscitato tutte queste critiche sarebbe dovuto rimanere in quel posto. Magari fatto a pezzi, preso a mazzate, oltremodo contestato, invece ho dato retta alle pressioni e alle minacce”.

Cosa ti auguri per il futuro?

“Mi auguro di avere delle idee talmente geniali che creino delle contestazioni, delle critiche accese, adatte a luoghi dove tanta gente le possa vedere. Non mi interessa che siano capite subito, anzi preferisco che lo siano un domani. La scultura inizia quando è finita, perché è lì che inizia a dare il suo messaggio”.

C’è un aneddoto del tuo passato che ricordi con piacere?

“La mia maestra delle elementari diceva che ero intrattabile ma “se Matteo vuole, può”. Questa frase mi ha segnato e per questo la ringrazio”.

Puoi seguire Matteo Faben su Instagram

Lascia un commento